Bergson

Bergson e l’essenza del tempo

Per Bergson la vita della coscienza coincide con la memoria, della quale riconosce tre aspetti: il ricordo puro, ossia la durata spirituale, il deposito inconscio di tutte le esperienze passate, mantenute nella forma in cui si erano presentate in origine; il ricordo-immagine, l’atto con cui quel passato si materializza, facendosi in parte presente qui e ora; e la percezione, la facoltà che ci lega al mondo esterno e ha la funzione di selezionare i dati che sono più utili ai fini delle nostre attività concrete. L’organo che fa da mediazione e da filtro tra i contenuti del ricordo puro e le esigenze della realtà è il cervello. Il filosofo fonda la sua concezione su una distinzione fondamentale: quella tra “tempo della scienza“, esteriore e misurabile (il tempo degli orologi), e “tempo interiore o vissuto“, il tempo della durata, trascurato dalle scienze sperimentali ma essenziale per la nostra identità di uomini il cui passato è costantemente conservato nel presente.
Nel suo capolavoro del 1907-L’evoluzione creatrice- Bergson estende all’universo intero la sua visione spiritualistica, indicando nello slancio vitale l’energia profonda che anima il mondo e lo porta a oggettivarsi in forme di vita sempre più elevate dal punto di vista dell’organizzazione. L’evoluzione di tale forza originaria è definita “creatrice“ in quanto non ha principi al di fuori di sé, è unica, e da essa si origina la materia stessa, intesa come l’esito dell’affievolimento del suo slancio.
Quest’ultimo raggiunge il suo vertice nell’uomo, l’essere dotato di intelligenza (capacità di inventare e realizzare strumenti artificiali) e di intuizione (capacità di penetrare l’essenza della vita cosmica). Se l’intelligenza, che è organo della scienza, è indispensabile per la vita pratica, soltanto l’intuizione, organo della metafisica, consente una vera e propria conoscenza della realtà. Il passaggio dalla prospettiva scientifica a quella metafisica implica l’abbandono degli strumenti abitualmente associati alla conoscenza intellettuale, ossia la concettualizzazione e il linguaggio, i quali, secondo Bergson, comportano una schematizzazione e quindi una “deformazione” della realtà. Paradossalmente, lo stesso filosofo, per comunicare la propria intuizione, deve fare
ricorso a immagini e metafore, prendendo spunto dal modello conoscitivo offerto dall’arte.

Commenti